SMALL MOVES, SPARKS

Foto di Iglucraft su Unsplash

E’ passato molto tempo, un anno intero, perchè io abbia avuto di nuovo tempo e desiderio di scrivere su questo blog. Le motivazioni sono molte: la prima, sicuramente, è che la comunicazione online ormai è diversa dai tempi in cui avevamo il blog come unica finestra verso il mondo – io sono una di quelle che aveva il blog su splinder, ed il titolo di questo articolo, di cui parlerò in seguito, contiene il mio primi, primissimo nickname sul web: Sparks, Scintilla, mi firmavo così.

Quindi, preferisco di gran lunga utilizzare le Stories di Instagram, perchè sono immediate, perchè mi piace fare foto (e non reel, credo di non averne mai fatto uno) e perchè attraverso queste posso tenere un filo quotidiano con chi seguo e con chi mi segue; poi c’è la newsletter, amatissima, che ancora scrivo, non in maniera assidua, con molte pause, ma scrivo, con cura, dedizione, perchè l’idea della lettera è sicuramente quella che più mi piace.

Eppure, non ho mai chiuso questo blog: è come se fosse una radice, a cui tornare, dalla quale prendere nutrimento. E’ una pagina bianca attraverso la quale riflettere, fermare le cose, appuntarne altre, per non dimenticarle.

Chi mi segue sa che in questo ultimo anno ho ripreso appieno anche il lavoro teatrale, affiancandolo al mio lavoro di educatrice, sia con spettacoli miei che con laboratori alle scuole; che abbiamo debuttato con uno spettacolo dedicato a Cappuccetto Rosso con la compagnia Le Ortiche, composta da performer con disabilità, e che vogliamo portarlo in giro più possibile; che nella nostra casa è arrivato un cucciolo, Nebbia, un piccolo husky che aveva iniziato in questa vita in una grande difficoltà, e che abbiamo deciso di salvare e di adottare, per allargare questa famiglia composta più da animali che da esseri umani.

Composta da radici, foglie di quercia, orti imprevisti, composta da cene condivise in nidi familiari, alleanze vicine e lontane, composta da chi si riconosce e si vuole bene, e non teme di dirselo, di stare vicino, ti trovare un momento per lo scambio, anche solo con un messaggio vocale, una parola, un piccolo dono.

Non volevo scrivere un post di bilancio fine anno/inizio del nuovo, perchè per me la fine dell’anno è segnata dal 31 di Ottobre – e non tanto dai folli botti che, quest’anno, sono stati scoppiati anche vicino al bosco, qui in questa manciata di case che si era sempre salvata dalla violenza di questa pratica. Forse sembra un post così: forse le è. Anche perchè, inevitabilmente, in questo periodo c’è una riflessione spontanea, che viene dall’inverno, dall’introspezione, dai pomeriggi da sola a leggere, a scrivere, a sognare.

Nell’anno passato ci sono state milioni di cose belle: sono natƏ bambinƏ di amicƏ, abbiamo fatto spettacoli e raccontato fiabe, conosciuto persone nuove, bellissime, preziose; l’orto ha donato zucchine e pomodori fino ad ottobre, e abbiamo fatto il pane e cucinato sulla cucina economica, anche d’estate; le susine sono state tantissime, raccolte e fatto marmellata; i bigliettini di amore della mia nonna ci sono stati anche questo Natale, e ne sono grata, gratissima; sono nati progetti condivisi, grandiosi, immaginifici, che ci porteranno ancora a sognare, a creare, ad agire nel mondo con poetica ed arte e politica; i miei libri e i miei mazzi di tarocchi sono stati pubblicati, e altri sono in progettazione, e anche questo è bellissimo.

Foto di Kieran White su Unsplash

Ci sono stati anche dei dolori, certo: sarebbe assurdo se non fosse così. Quello che a me ha maggiormente colpita sono stati certi atteggiamenti, qualche distanza inspiegata, che mi ha fatto male – in questo il mio essere PAS sicuramente influsice, perchè non riesco a farmi scivolare di dosso le cose, ma ci penso, ci ripenso, le trattengo, probabilmente ci rimango male più del dovuto. Eppure, al girare di questo tempo, voglio imparare a dare sollievo a questo mio essere, permettermi di essere sensibile ai comportamenti altrui anche più del dovuto: voglio celebrare chi invece si prende cura della relazione, di chi la nutre e la vivifica. E’ molto più coraggiosoquesto stare, questo esistere nelle relazioni – mi riferisco all’amicizia, ma comunque sia, in generale – che invece lasciare che il tempo passi, rispondere in maniera sintetica, non essere presente. Io vorrei questo coraggio gentile, nel porssimo anno, quella forza che non spinge ma accoglie, che accarezza: vorrei quelle piccole mosse small moves, Sparks, come si dice in Contact, film di Zemeckis da me molto amato – piccole mosse che mi permettano il sostare, il sognare, il recupero, il ricamo sottile dei minuti, del dare importanza alle cose che contano.

La mia parola per l’anno 2023 non l’ho ancora trovata, ma so che ha a che vedere con questa frase – small moves -, che ha a che vedere con la lentezza, la cura, la decompressione, lo sguardo attento. Che ogni persona che legge possa avere la sua lucina, personale, come una lucciola attraverso i giorni.

SUMMERTIME SADNESS

Ieri mi è arrivata la newsletter di Asia Suler, che leggo ogni volta con grande interesse, e anche questa volta il suo racconto è andato a toccare qualcosa che mi ha illuminata: summertime sadness, dice lei. Non potrei trovare nome migliore per questa sensazione: sarà che l’estate non è mai stata la mia stagione preferita, che aspetto con impazienza l’autunno, la stufa che scricchiola e il profumo di legna e di bosco, sarà che ho sempre sofferto di insofferenza al mare (e di questo ne ha parlato in modo molto chiaro @sunflowrish nelle sue Stories su Instagram), ma anche io, a volte, soffro di summertime sadness.

Approfondendo ogni giorno il tema sull’Alta Sensibilità, che mi permette di capire meglio me stessa e, anche, di fare il meglio il mio lavoro di educatrice e di artista, mi trovo spesso ad esclamare: se lo avessi saputo prima!

Se lo avessi saputo prima, che non è il mare in sé che mi turba ma che è il troppo caldo, la troppa gente, la troppa luce; se lo avessi saputo prima, che posso permettermi di passare un pomeriggio a scrivere, leggere e sognare anche se fuori c’è il sole, tutto brilla, ci sono mille eventi stimolanti a cui partecipare e allora mi sento in colpa, se resto in casa. Eppure, come spiega benissimo Asia, anche nella stagione più luminosa dell’anno possiamo essere tristi o sognanti. Possiamo preferire il crepuscolo lungo, i tramonti color mandarino, le lucciole notturne alle mattine energetiche, all’essere sempre positivi, con il sorriso, perché è estate!

https://unsplash.com/@kmaksimi

In estate poi, di solito, si viaggia o si va in vacanza: e sei hai un tratto Altamente Sensibile sai come può essere faticoso partire. Ecco che questa mia resistenza allo stress da viaggio mi ha valso, da sempre, la definizione di quella a cui non piace viaggiare. Inutile spiegare che non è vero, io amo viaggiare, immergermi in posti nuovi (specialmente se corrispondono alle mie visioni fantastiche, quindi se sono luoghi a Nord), ma ho bisogno di farlo con i miei tempi. Ho bisogno di prepararmi con cura, assicurarmi che i miei animali siano in buone mani mentre sono via, fare un programma dettagliato di quello che vedrò – e poi lasciarmi anche sorprendere dal caso. Concedermi un viaggio lento, non stressante e comodo. Che mi permetta di gustare appieno quello che vivo. Quindi, in sintesi: viaggiare ascoltandomi e rispettando la mia natura di persona introversa (che, ricordiamo tuttə, non vuol dire asociale o timida).

La stessa cosa accade con l’estate: se mi permetto di attraversarla con i miei tempi, se mi permetto di essere anche triste, anche pensierosa, anche stanca nonostante fuori ci sia il sole ed il richiamo alla socialità, ecco, se mi permetto di attraversare anche le ombre di questa stagione allora posso gustarla con pienezza e con cura.

Scrivo tutto questo perché immagino che là fuori ci sia qualcuno che vive l’estate come me. A te voglio dire: non sei sola. Non sei solo. Proprio come viene detto nel film Matilde, tratto dal libro di Roald Dahl:

i libri davano a Matilda un messaggio confortante: tu non sei sola.

Fuori è estate, e io mi rifugio in veranda, con qualche libro da leggere e un tè verde alla cannella. E so, di non essere sola.

RIEMPIRE LA PROPRIA COPPA

Da adolescente ho iniziato ad avere gli attacchi di panico. Ricordo molto bene uno dei primi: era estate piena, ero al mare, faceva caldissimo, non si respirava perché l’aria era umida e il calore insopportabile. Credo che mi sia venuto un attacco di panico proprio a causa del caldo: può sembrare assurdo, invece sono (quasi) sicura che sia stato proprio per quello. Certo, avranno contribuito anche altri fattori, quali l’età, i miei genitori che si erano separati o si stavano separando, l’essere una ragazzina molto sensibile, troppo magra e con gli occhiali da Quattrocchi. Poi sono cresciuta, lo sbocciare mi ha portato un altro modo di agire nel mondo, e ho attraversato la morte di mia mamma – avevo solo 19 anni, dopo la quale non ho più avuto attacchi di questo tipo.

Però ho continuato ad essere molto sensibile agli stimoli esterni: il caldo, il freddo, la fame, un tessuto troppo ruvido, un volume troppo alto. Solo da quando ho scoperto di essere una PAS, quindi una persona altamente sensibile (qui trovi il test di Eilen Aaron per capire bene se anche tu lo sei, oppure no) ho capito che la mia attenzione per i dettagli, insieme alla mia sensibilità agli agenti esterni, incluse le emozioni altrui, possono portarmi ad una sovrastimolazione. Ultimamente mi sono trovata spesso in questa condizione molto spiacevole: per il lavoro, che amo molto ma che – essendo in ambito relazionale – spesso mi sovrasta, mi assorbe, mi drena; per alcune questioni personali, prima tra tutte una relazione molto importante terminata quasi due anni fa ma che ancora porta dolore e turbamento, perché dall’altra parte non c’è volontà di trasformazione né di dialogo, almeno per ora.

So che, anche a causa del mio carattere, sono una persona che tende a dare molto: non a caso ho scelto di lavorare in ambito sociale, perché mi sento bene quando posso entrare in una relazione e portare qualcosa che aiuti a crescere e a creare, che sia con il teatro o con la pedagogia. Ho letto una frase illuminante di una psicoterapeuta (adesso non riesco a ritrovarla), nella quale si dice che, specie se facciamo un lavoro nel quale doniamo molto, è vitale, fondamentale, arrivare pieni.




Non posso donare niente se la mia coppa è vuota: devo necessariamente riempirla, per poi poter donare scongiurando il burn-out, la sovrastimolazione, il sentirsi svuotata e drenata. Ho sentito risuonare profondamente queste parole in me, e ho capito quale era il mio inciampo, in questi ultimi mesi.

Ho bisogno di riempire la mia coppa, e questo riesco a farlo in modi che mi aiutino a recuperare ed a rigenerarmi anche dopo una sovrastimolazione ambientale. Leggere un libro per ore, passare una mattina al fiume, condividere il mio tempo con poche persone care, realizzare qualcosa con le erbe, oppure scrivere. Fare fotografie, osservare attentamente il mio ambiente, rileggere libri amati. Tutte queste sono pratiche che mi nutrono in profondità, che mi fanno sentire piena e pronta a dare di nuovo.

Qualche anno fa mi sono interessata molto al self-love (ho anche realizzato alcune esperienze dedicate a questo tema), assai importante anch’esso ma molto diverso dal concetto di nutrimento, per come lo concepisco io. Self-love e self-care sono ingredienti fondamentali del nostro benessere, ma, almeno per quello che mi riguarda, non sono quello che riempie la mia coppa.

A ben vedere mi sento piena quando rispetto la mia natura di persona altamente sensibile e introversa, il che non significa non socievole (anche su questo c’è molta confusione, magari ne parlerò in un prossimo post): mi ricarico a contatto con la natura, condivido il mio tempo con qualche persona selezionata e molto cara, scrivo, leggo, osservo. Mi ci sono voluti davvero tanti anni per accogliere questa mia natura, che ho sempre nascosto per timore di tornare ad essere quella ragazzina timida e strana, chiusa e sognatrice.

Adesso la riconosco, mi riconosco

IN PUNTA DI PIEDI

Ultimamente mi capita di dormire spesso fuori casa. Uno dei progetti in cui lavoro come educatrice prevede turni di notte, e ci sono alcune cose di queste notti sospese che amo moltissimo. Una è il profumo delle notti in città: da 13 anni vivo in montagna, in mezzo al bosco, ma il profumo delle notti della mia città lo ricordo bene. I suoni, le lucine delle finestre di fronte, la cupola della Madonna che si vede dalla finestra della stanza in cui dormo. Il profumo dei fiori d’arancio dell’albero qui sotto. Ma anche, qualche mattina presto in cui ho trovato la città silente, tra zona rossa e giorni di festa, solo le piante spontanee a parlarmi all’orecchio.

Mi hanno detto che fare questo lavoro a volte è come entrare in punta di piedi nella vita degli altri. Questa frase mi suona in testa da qualche giorno, e credo che questo tema sarà uno dei temi della mia prossima newsletter vocale, perché è esattamente così, ma è anche il contrario: anche l’altra persona entra in punta di piedi nella mia vita.

È vero, quando entro in un nuovo progetto socio-pedagogico entro nella vita di un’altra persona. Perché questo è, soprattutto, un lavoro di relazione: non è possibile farlo se non si accetta di stare in relazione, con quello che c’è, difficoltà incluse. Entri in punta di piedi nelle case degli altri, anche solo metaforicamente. Un laboratorio di teatro o di danza in questo senso può diventare la chiave per osservarti in un altro modo, per tradurre un movimento da un corpo all’altro, integrando le diversità, per esempio. Entro in punta di piedi nelle case dove faccio educative domiciliari, e imparo sguardi, ricami, cassetti, compiti, gomme da cancellare, caffè improvvisi, chiacchiere tra donne, bambine dagli occhi grandi la prima volta che ascoltano Maria Callas o che si innamorano di Helen Keller, attraverso di me ma anche attraverso mia madre, che mi ha portato per la prima volta a teatro a vedere la storia di Anna dei miracoli, oppure attraverso mio nonno, che ascoltava la lirica.




Allo stesso modo, nella mia vita ed in punta di piedi entra la vita dell’altra persona, della relazione che si intreccia: imparo che in romeno albastru deschis significa azzurro, e mi sembra una poesia dirlo, che è possibile parlare di guerra e di potere e di libertà con un ragazzo di tredici anni con grande lucidità; condivido cene e pranzi e chiacchiere quotidiane con persone che imparano a diventare autonome, a vivere da sole, e intravedo in loro una grande libertà, mi insegnano che il quotidiano è prezioso, da conservare e da condividere. Ogni volta imparo un linguaggio diverso, e sto nello scambio con curiosità, aperta alla bellezza. Perché si, c’è bellezza e molta in questo lavoro, anche in queste notti che hanno il profumo di quelle della mia infanzia, quando restavo a dormire dalla mia nonna.

In punta di piedi ci avviciniamo, anche quando i primi incontri sono violenti e difficili. Questo passo leggero, attento, gentile, è necessario per indagare la relazione e per permettere l’ascolto, la scoperta, la sorpresa. Mi accorgo che a volte gli inizi turbolenti servono proprio per proteggere dalla paura dello stare senza fare niente, semplicemente stare anche dove c’è scomodità, perchè ancora non ci si conosce o per paura di rivelare le proprie fragilità. Eppure, non appena accettiamo che la relazione è una continua ricerca, che è viva ed in trasformazione continua, ecco che si creano quei momenti perfetti – proprio come in teatro, quando c’è silenzio nel pubblico e senti che sta accadendo qualcosa di vero, sul palco – in cui stiamo nella relazione, in quello che c’è, momento per momento: il profumo della notte in città, le tabelline dall’1 al 10 quasi a memoria, i capelli sciolti insieme e le confidenze inaspettate, le parole inventate, il sentire che non si è da soli, almeno non adesso.

PIÙ INTROVERSA CHE TIMIDA

È da più di un anno che non scrivo su questo blog. Un anno incredibile, con in mezzo una pandemia mondiale, le ginestre del mio giardino che non sono mai state così luminose, un anno in cui Eva, la mia cagnolona adorata, se n’è andata; un anno in cui ho imparato a lasciare liberi i miei gatti, anche la notte, e ho scoperto che la libertà paga sempre; un anno in cui ho chiuso una storia d’amore importante, importantissima, nel quale ho lasciato andare e fatto spazio e attraversato il dolore; un anno in cui ho camminato in un bosco di notte per arrivare sul crinale della montagna e vedere l’alba, nella luce dorata che ha abbracciato me e i miei compagni e compagne di avventura.

Un anno in cui ho messo in pratica, ogni giorno, la mia parola dell’anno 2020 che è CORAGGIO. Coraggio di tagliare, di lasciar germogliare un nuovo amore,coraggio di riprendere gli studi e conseguire una qualifica importante (educatrice professionale socio-pedagogica). Coraggio di iscrivermi di nuovo all’Università, al terzo anno di Scienze dell’Educazione.

È stato anche l’anno del totale rebranding del mio sito: le pagine che trovi qui sono evocative, i loro nomi nascondono luoghi magici dove trovi quello che faccio: ESSERE, SENTIRE, SOGNARE,AGIRE.

Forse finora non ero ancora pronta per tornare a scrivere: fare rebranding non è solo una questione di business, almeno non lo è stata per me Dentro a questo cambiamento c’è la mia storia, tutta la mia storia di questo anno – e anche prima, tutto quello che mi ha portata qui.

La consapevolezza di una fine, il dolore di non poter rimettere insieme qualcosa di rotto, il distacco, il vuoto. Il sentirsi in colpa perchè insieme a questo sono stata anche felice, ho lasciato aperta una porta ed un nuovo amore è entrato, luminoso. Il teatro, tornato nella mia vita e trasformato dal lockdown, le passeggiate rituali condivise, le performance e la land art realizzata quest’estate. Le amiche. Gli occhi di Bambi, la mia cagnolina rimasta con me. Ë tutto in questo rebranding, in questo cambiamento.

Non ero ancora pronta per scrivere, perchè scrivere tocca corde profonde e, soprattutto, è il modo che preferisco per comunicare con te. Mi sono riscoperta introversa, come quando ero bambina. Ho avuto bisogno di tempo, per sedimentre, per fare terreno fertile.

Ora sono qui: il mio blog riparte, e parleremo di piante officinali, di come possiamo usarle e delle loro storie magiche; di luna, fasi e emotività; di cosa significa essere una persona ad alta sensibilità, del potere dell’introversione, dell’essere quiete; di teatro, atti performativi e magici, rituali sensibili.

Insomma, eccomi qui. Se hai un argomento da proporre, da approfondire, o se vuoi solo dirmi evviva sei tornata!, puoi scrivermi – nella pagina TROVAMI scopri come.

SETTEMBRE (DI DOVE ERO FINITA, UN’ALTRA VOLTA)

il rientro+cecilialattari

Da molto tempo non scrivo sul blog, è vero. Ma da Maggio ad oggi sono successe molte cose, ho avuto un’estate turbolenta e solo ora riprendo le fila.

Il mio compagno ha rischiato la vita; questo l’evento, accaduto i primi di Giugno, che ha imposto una pausa alla mia attività – ho portato avanti solo quello che era indispensabile, il mio lavoro off-line (il gruppo di teatro che sto guidando per un progetto regionale) e ho allentato moltissimo il lavoro on line.

Adesso Andrea sta bene: la paura è stata tanta, e tutta questa esperienza sicuramente mi ha insegnato molto. Ho imparato qualcosa sul mio potere personale. Ho vinto la paura di guidare in autostrada per lunghi tratti, perchè lui era ricoverato lontano. Ho vissuto un mese da sola, e ho scoperto di avere amici e amiche insostituibili, che mi sono stati molto vicini. Ho imparato lezioni dai miei gatti e dai pomodori che sono maturati nell’orto, a momento giusto. Ho scelto di prendermi cura di me stessa, ancora, di riservarmi dei momenti per leggere all’ombra, per raccogliere fiori, per accendere candele. 

Ho sperato sempre che le cose andassero bene, ho creduto sempre che le cose sarebbero andate al meglio. 

Spesso ho estratto la carta della Morte: la trasformazione, la rigenerazione. Fare spazio. ricominciare. A volte senza guardarsi indietro, senza fissarsi su quel momento così pauroso. 

Ma questi mesi estivi hanno visto anche la realizzazione di un altro progetto: il festival LA MONTAGNA CHE PARLA, che con la mia Associazione Culturale ha preso vita; ed è stato davvero un successo. A volte è proprio nei momenti difficili che capitano cose belle, che ti portano fuori, che ti spingono ad agire, a prendere forza. A vedere che la vita può essere nutriente e piena.

La formazione per diventare Gestalt Counselor continua, così come il percorso alla Scuola d’Arte sempre alla mia scuola di Counselling: sento che il mio lavoro sta prendendo una nuova direzione, che non lo snatura ma che lo rende più ricco. E so che potrò esserti ancora più utile, ancora più di ispirazione.

Intanto passeggio per i boschi, ascolto le piante, progetto mostre itineranti da realizzare tra gli alberi. Osservo i fiori da vicino. Mi inchino e tocco la terra.

Ricomincio questo Settembre riprendendo a scrivere anche qui, su questo blog: il mio sito ha bisogno di un restyle, e piano piano lo farò – intanto lavoro ai progetti che dalla fine di Settembre prenderanno vita (primo tra tutti, il corso online sugli Arcani Minori!) e curo quello che ho deciso di mantenere. 

Ho iniziato a curare una rubrica sulla mia IGTV (il canale video di Instagram): si chiama SEMI SACRI e ogni settimana ti parlo di una carta dei Tarocchi e di una pianta, collegandole in maniera sottile. Vieni a vedere la prima puntata, cercami su Instagram: sono @alchimistacontemporanea

Tu come hai passato la tua estate? raccontamelo nei commenti!

DI COSA PARLO QUANDO PARLO DI TEATRO (E DI LUNA)

Il teatro è stato, sempre, la costante della mia vita. Fin da piccola, quando a nove anni vidi Ottavia Piccolo che recitava in Anna dei Miracoli. Lì, in quella seggiolina del teatro, dove mi aveva portata mia mamma, decisi: da grande farò l’attrice.

Così è stato, ma non mi sono fermata lì: nella mia vita sono entrate le piante, i Tarocchi, i fiori d Bach e molte altre passioni che fanno di me una multipotenziale. Solo da poco ho scoperto questa categoria, alla quale mi sento di appartenere pienamente e dalla quale mi sento riconosciuta.

In questo periodo il teatro è tornato nella mia vita, perché io stessa gli ho aperto di nuovo la porta. In questa fase però non sono più l’attrice che porta il suo personaggio sul palco, ma sono colei che aiuta le persone a tirare fuori la loro parte più autentica e splendente, anche attraverso la recitazione. Mi sto occupando di teatro come formatrice, in vari progetti e laboratori, e la scuola di Gestalt Counselling che seguo prevede un contatto pieno con questa arte.

Il teatro per me è come la Luna con le sue fasi. In alcuni momenti, brevissimi, è scomparso dalla mia vita – pensavo anche di averci chiuso definitivamente. Ma non era così: piano piano la Luna è cresciuta, ed è diventata piena, splendente. Mi indica la strada.

Giovedì prossimo terminerò il ciclo di laboratori che ho realizzato al Circolo HoChiMinh di Porta al Borgo, a Pistoia. Sono stati quattro incontri, come le quattro fasi lunari. Ogni incontro era dedicato ad una rockstar, ad un idolo dionisiaco e ribelle. Perché il fare teatro non ha nulla a che vedere con il fare, quanto invece con l’essere. Essere in scena, seguire la musica, farsi guidare e scoprire che ogni testo nasconde una miriade di significati.

Il teatro mi insegna ad essere come la Luna. Ogni laboratorio è diverso dall’altro, ogni giorno inventiamo qualcosa di nuovo, che prima non c’era. Ogni mattina, quando lavoro con i ragazzi, improvvisiamo scene semplici per raccontare storie incredibili. La sera, durante le prove di Anna Cappelli e dei Delitti Esemplari (i testi che sto preparando con un gruppo di attori) ogni volta accade qualcosa di nuovo. Ogni volta scopriamo un pezzettino in più di noi e dell’altro. Come la Luna che muta ogni sera, che non è mai la stessa ed è sempre se stessa.

Il teatro e l’azione teatrale sono strettamente connessi alla nostra azione nel mondo: posso portare con me la relazione che ho sperimentato in scena , tradurla.

In teatro c’è bisogno di vuoto, così come ci insegna la Luna Nuova. Le pause, nelle quali avviene molto. L’importanza di non correre, non affrettare, non buttare via. Non si può buttare via quando si è in scena, perché si è importanti. Perché anche il vuoto parla, perché dal vuoto si genera la vita.

La Luna Crescente è il sottotesto; tutto quello che non si esplicita nel lavoro teatrale, ma che c’è. E’ il processo creativo. E’ la costruzione di un personaggio, di una voce, di un gesto. E’ trovare l’inizio, l’entrata, il motore che ci muove.

La Luna Piena è quando l’espressione teatrale ha trovato la sua dimensione – l’essere insieme te e qualcun altro. E’ il dare luce a qualcuno che non esiste e che esiste invece, qui e ora, nel momento in cui ti fai da parte e dai voce e corpo a quel sentire, a quella azione. E’ la manifestazione.

Infine, le note lievi della Luna Calante. Sono l’importanza delle uscite, i respiri tra una parola e l’altra, sono le modulazione più lievi. Il non urlare, il sottovoce, la sicurezza di esserci anche se non gridi.

Nel laboratorio che ho appena tenuto, e che termina tra una settimana, abbiamo assaggiato tutte queste Lune. Ce le siamo messe sulla punta della lingua, e abbiamo sentito il dolce, il salato, il piano, il forte.

Termino con Patti, Patti Smith e la sua Dancing Barefoot: perché una delle prime cose che ho fatto in teatro è stato togliermi le scarpe e sentire il legno del palcoscenico sotto ai piedi.

Here I go and I don’t know why (Vado e non so perchè)
I fell so ceaselessly (Mi sento sempre così)
Could it be he’s taking over me (Può essere che lui mi stia perdendo)

I’m dancing barefoot (Sto danzando a piedi nudi)
Heading for a spin (roteando)
Some strange music draws me in (una strana musica mi attira)
Makes me come on like some heroine (facendomi sentire come certa eroina

 

DOVE ERO FINITA: OVVERO TEMPO E MULTIPOTENZIALITA’

Non scrivo qui dalla fine di febbraio: questi mesi sono volati, evaporati – siamo già alla fine di Aprile! Ti capita mai di avere molte cose da fare, progetti che partono tutti insieme, di avere le tue energie impegnate in più direzioni e, inevitabilmente, ridefinisci le tue priorità?

E’ quello che mi è accaduto negli ultimi due mesi. In molte mi avete scritto: tutto bene? Che fine hai fatto?

Per parlare di questo devo prima parlarvi di cosa vuol dire essere una multipotenziale. Carlotta Zaina mi ha intervistata, qualche settimana fa, proprio su questo argomento. Carlotta sta facendo uno splendido lavoro sulla multipotenzialità e gliene sono davvero molto grata – ma che cosa significa essere multipotenziale?

Emile Wapnick in un suo famosissimo TEDtalk lo spiega in maniera divina. Se anche tu, dopo che hai visto il suo discorso, ti sei commossa:  bene, benvenuta tra noi! Significa che il mio lavoro è intrecciato con tutti i miei interessi, le mie multi-potenzialità; nello specifico, oltre ad occuparmi di consulenze intuitive, di fiori di Bach, di Tarocchi ecco che il mio lavoro in teatro è tornato prepotentemente nella mia vita. Mi sto occupando di tre progetti molto belli, di cui magari ti parlerò in seguito (potrei pensare ad una rubrica qui sul blog in cui ti racconto che cosa c’è dietro alle quinte di uno spettacolo, oppure come il teatro può aiutarti nel contattare la tua parte più libera) e per questo il mio lavoro online ha sofferto.

Sono sparita: ho lasciato attivo solo il mio profilo Instagram, dove ho continuato a postare ed a mettere su le Stories – anche se non proprio come prima. Dopo un primo momento di iperattività, eccomi a tirare le fila di questo periodo ed a condividere con te le mie strategie per organizzarmi al meglio.

Cosa puoi fare quando senti che il tempo non ti basta mai, e che avresti bisogno di giornate di 48 ore?
  • Fermati dieci minuti. Si, sembra paradossale – non ho tempo, e mi chiedi di fermarmi dieci minuti? Si. Usa dieci minuti del tuo tempo per fare una pausa. Puoi mangiare un quadretto di cioccolato, meditare – se vuoi, ma non è obbligatorio, respirare, guardare il cielo, fare un disegnino, metterti al sole. Unica regola: non passare questi dieci minuti sui social. Stacca, davvero. Questo tempo ti servirà per rigenerarti e per ottenere nuovi stimoli.
  • Fai una lista delle cose che ti restano da fare nella giornata. Ok, sono tante. Tu scrivile tutte in un foglio, e poi sceglie solo tre. Quelle tre sono quelle che hanno la priorità: se riesci a farle tutte e tre, sei grande, ragazza. Festeggia! Datti piccoli obbiettivi, e organizza le tue giornate seguendo le priorità. Se per oggi la tua priorità e anche farti una super maschera alla Lavanda e Timo, metti anche quella tra le tre cose da fare oggi.
  • Respira. Con consapevolezza. Fai tre respiri profondi, contando fino ad otto nell’inspirazione e nell’espirazione. Ossigena le tue cellule, i tuoi pensieri, i tuoi desideri. Dai loro spazio.
  • Annusa qualcosa che ti piace – una piantina di basilico, olio essenziale di limone nel diffusore, una rosa appena sbocciata, un tè allo zenzero. Fermati e risveglia i tuoi sensi più sottili.
  • Estrai una carta dal tuo mazzo preferito, e scrivi sul tuo quaderno il messaggio per la giornata. Attiva la tua parte intuitiva, magica, per rientrare nel tuo vortice di benessere personale.
Fammi sapere se questi consigli ti sono stati utili per gestire al meglio il tuo tempo, e se ancora non mi segui raggiungimi sul mio profilo Instagram! Mi trovi come @alchimistacontemporanea.

 

 

 

 

 

 

LA MIA PAROLA DELL’ANNO 2018

parola dell'anno 2018

Per parlarti della mia Parola dell’Anno 2018 voglio partire da quella del 2017, che era LUSH.

L’avevo trovata dopo qualche giorno di esercizi e di riflessioni, ed era esattamente quella che cercavo: lush significa rigoglioso, lussureggiante, verde. Ha in sè sia il concetto di crescita sia quello di piacere: volevo un anno che mi dicesse dove andare a mettere le mie radici, dove prendere nutrimento e dove fiorire in pieno.

E così è stato.

Nel 2017 ho partecipato a laboratori di poesia e scrittura, ho ascoltato molte presentazioni di libri e mi sono persa nelle storie, ho guidato gruppi di donne nel territorio selvaggio del loro intuito; ho iniziato ad usare il rossetto, mi sono fatta allungare i capelli (e sono lunghissimi adesso!) e ho deciso di vestirmi come piace a me; ho frequentato persone preziose, stretto nuove amicizie e consolidato quelle già nate; ho fatto un bellissimo viaggio in Europa con il mio uomo e con amici carissimi, e la nostra famiglia si è allargata di ben due altri componenti felini; ho imparato a far fruttare il mio tempo, ho lavorato tanto con i Fiori di Bach e ho trovato un posto magico, come un nido, che mi ospita e che mi permette di fare le mie consulenze.

Di fronte a molte decisioni ho scelto sempre la via più nutriente e rigogliosa per me: questo ha significato anche un cambiamento in alcuni rapporti, perchè quando ti metti al primo posto non tutti capiscono.

Questa parola mi ha portata diretta alla Parola dell’Anno 2018 – è arrivata così, in una nuvola rosa e glitter – ed è SELF-LOVE.

Self-love significa amor proprio.
Significa amarsi, prima di tutto.
Significa che se stai bene tu, se stai davvero bene, e se la tua felicità non dipende da nessun altro se non da te stessa, allora puoi davvero amare gli altri.
Allora l’amore che doni è un amore nutriente, succoso, come un mango maturo!
Self-love, che non c’entra proprio niente con l’egoismo, anzi.

Credo che ognuna di noi abbia bisogno di amarsi di più – di sentirsi bene, di essere felice.

Voglio che il mio 2018 sia guidato da questa consapevolezza.
Inoltre, la parola Self-love contiene anche LOVE, che è il nome d’arte della mia musa per questo anno che sta per arrivare: Courtney Love.

Quindi, rossetto, gonna di tulle e bacchetta magica saranno i miei strumenti per i 2018!

Scegliere una Parola dell’Anno serve a mantenere un’intenzione profonda e radicata lungo i mesi, ed a spostare la tua attenzione proprio sull’azione, sulla coerenza con te stessa e sulla libertà di agire esattamente come vuoi e per quello che vuoi ottenere.

La Parola dell’Anno è uno strumento utilissimo per crescere e per fiorire, per far sbocciare il germoglio delle tue possibilità e per farlo venire su bello e rigoglioso.

Tu hai trovato la tua Parola dell’Anno? Raccontamelo nei commenti!
Se vuoi un aiuto da parte mia e di Frida, ricordati che è ancora disponibile il super-scintillante pacchetto FRIDAMIVIDA! Trovi tutto qui.

IL MIO MANIFESTO INDOMITO

 

manifesto indomito + ©cecilialattari

Il manifesto è uno spazio nel quale ti racconto qualcosa di me: di come sono, di quello in cui credo. Nel mio manifesto dico quello che voglio e voglio quello che dico. Nel mio manifesto, sono sicura, ritroverai qualcosa anche di te.

Se vuoi vedere le grafiche che ho realizzato per il manifesto del sito e per la Parola dell’Anno 2016 e 2017, trovi qui le immagini. Ecco il mio MANIFESTO INDOMITO!

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